Mumbai e The Taj

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24 ore a Bombay, anzi anche meno. Ma uno stop obbligato verso Goa e la possibilità di condividere il ricordo dell’albergo più antico e lussuoso del mondo, il Taj. 

Di fronte al Gateway of India, costruito nel 1911 per celebrare l’arrivo in India di Giorgio V, l’arco si apre ad est verso il golfo di Bombay e l’oceano. 

Atterriamo in tarda mattinata, il clima é caldo, intorno ai 30 gradi. Ci scalda le ossa dopo giorni di freddo, felpe e cappucci. Circa un’ora prima di arrivare al Taj, il traffico è particolarmente intenso a causa di manifestazioni politiche in vista delle prossime elezioni. 

Ero già stata al Taj, otto anni fa che sembrano otto vite fa. Ero andata ad un matrimonio e sono ripartita esattamente il giorno degli attacchi Tamil del 2008, qualche ora prima. 

Entriamo e ci avvolge profumo di gelsomino e rose, fiori ovunque e mille persone indaffarate ci accolgono e ci servono un succo di guava dolce come l’aria che respiriamo. 

Solo il tempo di lasciare le valigie e una guida ci aspetta per fare un breve giro della città. Il clima é caldo, ma non fastidioso e il nostro autista guida veloce per le vie del sud della città. Una città molto diversa da quelle che abbiamo visto finora, la meno indiana forse, quella dove l’impronta inglese si sente maggiormente. Nei palazzi, nelle scuole, nei giardini, ovunque c’è ordine e pulizia, ovunque eleganza e compostezza. 

Visitiamo un mercato di frutta e verdura, dove gattini smilzi fanno la guardia a montagne di ananas e cocomere. Non vendono carne in questo mercato, la maggior parte delle persone é vegetariana e la carne, come il pesce, deve stare fuori dal mercato. 

Proseguiamo il nostro giro fino alla lavanderia della città, dove tutti portano vestiti e lenzuola per essere lavati. Vasche a cielo aperto odoranti di cloro e intrise di colore vengono usate dalle famiglie dei lavandai, per un servizio a domicilio apparentemente impeccabile (ho visto cose stirate che sembravano effettivamente pulite, il che é abbastanza anomalo considerando le condizioni di questo posto). 

Rientriamo in hotel poco dopo, ma solo per bighellonare un po’ in piscina, addentare un club sandwich e aspettare la sera. 

Beviamo un aperitivo all’Harbour Bar, che ci stupisce con un classico gin tonic e un Bombay Blazer, un cocktail un po’ da femmina a base di gin flambé e succo di guava. Da femmina, ma effettivamente buono. 

Mangiamo un giapponese straordinario, dove incontriamo anche un attore famoso di Bollywood e noi siamo stati gli unici, poveretto, a non disturbarlo per una foto. 

L’hotel é enorme e dopo cena, anche per smaltire un po’ il cibo buonissimo ma troppo abbondante, vagabondiamo ancora nella zona più antica, oggi dedicata solo alle sale per matrimoni e alle suites. 

Giovani indiane tirate a festa si fanno selfie all’ingresso del bar, famiglie con bambini piccoli parlano e giocano chiassosi all’ingresso, una coppia di americani esce dal salotto di whiskey, che resta così vuoto e immobile, con i legni scuri e i velluti, eredità del lusso inglese di una volta. 

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