Varanasi

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Fin dal giorno che abbiamo deciso che saremmo venuti in India, io aspettavo di venire a Varanasi.

Varanasi é la città abitata più antica del mondo, qui si fondono moltissime diverse culture a formare una mescolanza eterogenea di usi, costumi e credenze. Nel rispetto di tutti e della storia di chiunque venga fino qua.

Conosciuta in altre epoche storiche con i nomi di Kashi (Città della Vita) e Benares, negli anni 70 Varanasi era la metà preferita degli hippy, che qui venivano in contatto con la religione orientale (e soprattutto con un gran numero di droghe). 

Varanasi prima ti schiaffeggia, poi ti accoglie e alla fine ti culla. Ti porta nel suo vortice, al suo ritmo e ti fa dondolare sospeso in mezzo alla gente. 

Usciamo molto presto, sono appena le sei quando lasciamo l’hotel. Una ventina di minuti per arrivare ai ghat, che sono delle specie di banchine dove i pellegrini arrivano per lavare i peccati di una vita nelle acque sacre del Gange o per cremare i corpi dei loro cari. 

Da qui prendiamo una piccola barca a remi che ci porta sul fiume, il sole sta sorgendo e i gabbiani volano tutto intorno a noi. Percorriamo placidamente il fiume, aspettando che il sole sorga e illumini la città, che con forza si affaccia verso il fiume, il cui lato orientale é deserto perché ritenuto impuro. 

Lasciata la barca, dai ghat entriamo all’interno della città, dove un labirinto di vicoli ci rende molto difficile orientarci. La gente é ovunque, scalza cammina verso il tempio e prepara le offerte, latte e riso principalmente. 

La cremazione é un’esperienza pubblica, non c’è il rispetto e il senso del privato che c’è da noi. Tutto avviene sul ghat, sotto gli occhi di tutti, anche se alla cerimonia della cremazione possono partecipare solo gli uomini. 

Morire a Varanasi é considerato un privilegio e nessuno piange. Il dolore é composto, sembra quasi non esistere mentre ci avviciniamo alle pire. Esitiamo. Fino a che punto é giusto intromettersi nella vita di queste persone? Quando finisce l’interesse puro e inizia la morbosità? La guida ci dice di stare tranquilli, che nessuno si preoccuperà della nostra presenza ed in effetti sarà così. Accompagnati da un ometto tutto nervo che fa parte di una famiglia di becchini, ci aviciniamo al ghat della cremazione. Dodici fuochi sono accesi e altri quattro corpi aspettano il loro turno. Sono poggiati su una barella fatta di canne e sono coperti da drappi gialli, oro e rossi. Intorno gli uomini sono vestiti di bianco (il colore del lutto) e portano i capelli rasati, con un unico ciuffo superstite, come indica di fare l’induismo. 

Prima di procedere alla cremazione la legna per la pira viene pesata e il corpo viene cosparso di burro chiarificato (ghee). 

Finito il giro fra le pire, ci fermiamo di nuovo al margine a guardare. É uno spettacolo che sinceramente non so come descrivere. In Nepal ho visto Poshupatinar, appena fuori Katmandu, e sebbene il principio fosse lo stesso, non si provava lo stesso sentimento, lo stesso coinvolgimento, lo stesso contatto con la vita. Dico con la vita, perché per gli indù la morte altro non é che una parte della vita, sette sono le reincarnazioni, solo morendo a Varanasi si interrompe il ciclo di rinascite e si può andare in Paradiso direttamente. Per questa ragione, molte persone anziane che ne hanno la possibilità, decidono di venire qua a vivere i loro ultimi anni di vita. 

Varanasi ti strega, ti mette un incantesimo addosso e quando te ne vai, quando cammini fra il traffico della strada, senti che già ti manca, ma che qualcosa nel cuore resterà sempre lì. 

Due notti siamo stati, ma di fatto un solo giorno. Ma un giorno che non potremo mai più dimenticare. 

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