Sulla strada che da Rathambore porta ad Agra incontriamo Fatehpur Sikri. È il quinto forte che visitiamo da quando siamo in India, ma questa volta il costruttore era di dinastia Moghul, quindi non più indù, ma musulmano. Incontriamo la nostra guida, un personaggio entusiasta che compensa le carenze linguistiche con iniziativa e grandi sorrisi. Approfitta della nostra disponibilità e ci fa mille domande sul congiuntivo trapassato, del quale fino ad oggi ignoravamo quasi l’esistenza.
Fatehpur Sikri era la dimora dell’imperatore Akbar, che prese il potere a soli 13 anni e che viene storicamente considerato un grande diplomatico. La ragione è da ricercare non solo nel fatto che avesse tre mogli (cosa abbastanza usuale, ma che comunque richiederebbe un certo gradi di diplomazia), ma per il fatto di avere una moglie musulmana, una induista ed una cristiana. All’interno del forte ognuna di loro aveva una propria abitazione riccamente decorata secondo l’architettura tipica della propria fede.
La scelta delle tre mogli fece si che Akbar di fatto dominasse gran parte dell’India sud-occidentale; i Moghul erano infatti già presenti nel nord, gli indù della famiglia della seconda moglie dominavano il Rajasthan e la famiglia della terza moglie, quella cristiana, dominava il Goa.
Dopo una settimana di viaggio, abbiamo lasciato il Rajasthan e ci troviamo ora nella regione dell’Uttar Pradesh, che in lingua hindi significa semplicemente regione del nord. Il traffico si fa più intenso e la campagna, fino ad Agra, si perde all’orizzonte.
Dopo un veloce pranzo in un giardino fiorito, percorriamo gli ultimi 40 chilometri che ci dividono da Agra.
Agra, con i suoi 2 milioni di abitanti, è famosa in tutto il mondo per il Taj Mahal, ma nasconde altri segreti interessanti per chi li vuole scoprire: uno di questi è il Red Fort.
Entriamo quasi per ultimi, un attimo prima che la biglietteria chiuda. Il sole già basso sull’orizzonte rende ancora più intenso il rosso dell’edificio, mentre le parti in marmo bianco brillano di una luce color oro. Particolarità del marmo indiano, diversamente da quello di Carrara, è la sua capacità di far filtrare la luce, creando spesso disegni e giochi che sembrano magici.
L’imperatore moghul che viveva qui, figlio dello Shah Jahan che costruì il Taj, si dice bevesse cinque litri di vino al giorno e questa era la sua attività principale. Ospitava nel forte oltre 500 concubine, che avevano il compito di svegliarlo dopo ciascuna bevuta semplicemente col tintinnio dei loro gioielli. L’imperatore si trovava spesso fuori per battaglie, guerre ed attività diplomatiche, la servitù non sapeva mai quando sarebbe tornato, ma doveva tenere sempre disponibile una brocca piena di acqua profumata con petali di rosa.
Uno dei cortili interni al palazzo si affaccia verso il fiume e all’orizzonte, leggermente velato dalla foschia, si intravede l’inconfondibile profilo del Taj Mahal. Nel forte rosso, proprio in una stanza che dà verso il cenotafio più famoso del mondo, passò gli ultimi anni della sua vita l’imperatore Shah Jahan, dopo che il figlio ribelle Aurangzeb lo imprigionò e prese il potere. Ma questa è un’altra storia, troppo bella per essere svelata subito.