Un post sulla cucina indiana ci vuole. Perché é talmente varia e vasta, che non si può non menzionarla. La cucina indiana o la ami o la odi. Noi abbiamo deciso che la amiamo.
I primi giorni sono stati duri. Tutto, dalla colazione all’ultimo boccone della cena, pizzica e i primi giorni é davvero pesante. Tutto sommato però, intervallando un po’ di cibo cinese e thai, mettendo qua e lá riso e pane, abbiamo trovato un giusto equilibrio e ora siamo noi, ad aggiungere un po’ di piccante quando un piatto ci sembra troppo dolce.
Ma andiamo con ordine.
Dal Rajasthan a Goa i piatti variano parecchio e, senz’altro, la lontananza dal mare da una parte e l’influenza portoghese dall’altra contribuiscono non poco a differenziare gli stili culinari di un paese tanto vasto.
Alla base di tutto stanno due ingredienti: il curry e il ghee.
Per curry non si intende quella polverina giallina che troviamo da noi, ma in generale tutti i mix di spezie per cucinare sono definiti curry.
Il ghee é il burro chiarificato, che viene messo a badilate in qualunque piatto e soprattutto sul pane. Il pane ha mille nomi, ma il più usuale é il naan, una specie di piadina molle e cotta nel tandoori (un forno di terracotta). Il naan può essere plain (semplice), con burro o con burro e aglio (ricordo buonissimo di quando studiavo in Germania e compravamo il pane burro e aglio surgelato da fare al forno!).
Gli indiani sono per la maggior parte vegetariani e tutti gli alimenti sono marchiati da un bollino verde se é “veg” o rosso se é “non veg”. Questo vale sia per i menù che per la cioccolata, i succhi di frutta, qualunque cosa.
Per ciò che riguarda la carne le due cotture principali sono nel tandoori (e ne esce una specie di carne alla griglia) oppure in salsa.
In entrambi i casi prima si fa una sorta di concia con un mix di spezie apposito (che abbiamo comprato). Il piatto forse più famoso della cucina indiana é il chicken tikka masala, pollo in umido con salsa al pomodoro, spezie e una quantità imprecisata di altri ingredienti, fra cui la papaya grattugiata.
Visto il piccante, generalmente la carne é accompagnata da una salsina allo joghurt e una al coriandolo, che anche se a molti non piace, ha il grosso pregio di essere rinfrescante. A me piace molto e allo Zivo fa schifo.
Altro piatto della tradizione indiana é il paneer, cottage cheese affogato in una crema di spinaci, anche questa condita con diverse spezie.
I dal (le lenticchie) possono accompagnare qualunque piatto e sono generalmente gialle, rosse o nere. Vengono fatte in una zuppa, spesso con anche fagioli.
A Goa anche il pesce viene fatto in salsa curry, ma bisogna ammettere che non dá il suo meglio. Tutti i piatti sono accompagnati da riso, che può essere semplicemente al vapore oppure con qualche verdurina o con curcuma e chiodi di garofano.
Appena seduti a tavola, portano subito un pane secco piccante con delle erbe al suo interno. L’ho assaggiato sempre e sempre l’ho trovato poco buono, ma qualcosa mi attira e continuo ad assaggiarlo in ogni posto in cui andiamo.
Sui dolci non sono molto pronta, anche perché per la maggior parte sono a base di mandorle, miele e nocciole varie e io non sono una gran fan del genere. L’unica cosa che abbiamo bevuto è stato il lassi, una bevanda di joghurt liquido aromatizzato con zafferano e cardamomo dal sapore veramente dolce ed avvolgente, soprattutto dopo piatti così saporiti.
La migliore bevanda calda é senza dubbio il masala chai, un the aromatizzato con mix di spezie e fatto bollire insieme a latte e zucchero. Lungo la strada te lo offrono in bicchierini di terracotta usa e getta che ne amplificano il sapore e il profumo. Straordinario.
Anche la colazione é costellata di carni e verdure in varie salse, ma le due cose che più hanno attirato la nostra attenzione sono i poori (una specie di torta fritta rotonda) e i dosa (simili a crêpes e ripiene di cipolla, formaggio, pomodoro e coriandolo).
Il tutto annaffiato da birra a fiumi, esclusivamente Kingfisher Premium, una birra leggera e beverina tanto da permetterci di metterla alla base della nostra idratazione quotidiana.
Solo una sera abbiamo provato un vino indiano, un Chenin Blanc di una cantina che si chiama Sula (unico motivo per cui l’abbiamo provato), ma un po’ acidulo non era questo granché, soprattutto visto che era l’unico che abbiamo trovato a “soli” 30 euro.
Ogni pasto, che sia lungo le strade sperdute del Rajasthan o sulle coste turistiche del Goa, finisce con stuzzicadenti e due ciotoline con anice e mentine per rinfrescarti la bocca (l’alito!) dopo i chili di spezie e cipolle che hai mangiato.
E comunque:
Il miglior cibo indiano: all’Indiana di Jaipur, dopo cinque ore di strada sconnessa, in un giardino verdissimo in mezzo ai grattacieli fatiscenti.
Il miglior lassi (e unico): a Jodhpur, in una specie di baretto incastonato in un muro davanti alla torre dell’orologio.
La miglior degustazione: a Delhi, al ristorante Spice Route dell’Imperial, con sottopiatti d’argento e tovaglie di cotone indiano.
I migliori dal: al Canton di Varanasi, mentre di fianco a noi si celebrava un matrimonio.
Il miglior masala chai: in un negozio di spezie a Varanasi.
Il miglior pesce: il red snapper sulla riva del mare a Candolim
Il miglior naan: sempre imbattibile ovunque.
Il miglior dolce: dei quadratini di miele e noccioline, ancora al The Imperial, insieme ad un the allo zenzero dopo un’ora di massaggio ayurvedico.
Il miglior aperitivo: con noccioline e piselli al wasabi guardando il tramonto sul Mar Arabico.
Il miglior aperitivo non al mare: al Taj, quando lo Zivo ha ordinato un club sandwich a cinque strati che più che un aperitivo sembrava una cena per tre persone sotto forma di panino.
Il miglior antipasto: pickle (una specie di confettura ultra piccante) con cipolle (che servono a fare la parte dolce).